Saggi critici

Docente universitario di Letteratura spagnola già a Roma “La Sapienza” e a Napoli “L’Orientale”.

Se c’è un genere di pittura difficile – e perciò affascinante – è quello che frequenta Antonio Corbo per offrirla a suoi estimatori italiani e stranieri. Ecco allora, dopo l’esposizione in Olanda, questa mostra nella sua città. Difficile perché, detto in via preliminare, la sua è una pittura che sorge quasi a rappresentare la nostra contemporaneità convulsa, dominata da rifiuti e rotture con la tradizione e che provvede a ispirare suggestioni mediante macchie di colore, azzurre e bianche su tutte, disseminate tra costellazioni di stelle, alberi scheletrici, astri misteriosi, panorami desertici e visioni incantate in costante dialogo tra loro.

Motivi insistiti e indipendenti da mode e correnti per una inconsueta ri-creazione che investe e caratterizza, quasi a leitmotiv, vocabolario e sintassi del suo linguaggio pittorico. Che sono – vocabolario e sintassi – il risultato, lungi da ogni dogmatismo, di molti saperi e di molti sguardi riassunti, al momento della creazione artistica, in totale libertà. Basti guardare le molte opere in stretti rapporti di somiglianza in cui un tratto un colore una duplicazione di soggetti le rende uniche e originali (Aurora boreale I e II, Luna blu e Luna rossa, Nucleo e Nucleo attivo …) E sono proprio questi rapporti di somiglianza che in questa esposizione si presentano come una sorta di enigma che, come tutti gli enigmi, non si svelano solo per invitare gli osservatori a provare di carpirne il segreto. Come a dire, con parole di Canetti, “interpretatemi se ci riuscite”. Una sfida all’immaginazione ma senza pretese di risolvere alcunché.

Una pittura dunque, questa di Corbo, che esige un’implicazione attiva da parte del visitatore se è vero, come è stato detto, che il colore è forse la migliore rappresentazione delle emozioni umane. Aggiungo e completo: il colore e la poesia. Ma perché richiamo il termine “poesia” in un contesto pittorico? Semplicemente perché Antonio Corbo è pittore ed è poeta. Da qui anche l’accattivante titolo della mostra “Percorsi paralleli” in omaggio alla collateralità di queste due arti. E si sa che, a voler escludere Platone (e la sua “La pittura è una poesia muta e la poesia è una pittura parlante”), è però a partire dal dictum di Orazio ut pictura poesis che la base teorica del rapporto tra pittura e poesia penetra nelle loro rispettive pratiche, e nei trattati letterari e pittorici, per accamparvisi e giungere stabilmente, pur tra una disputa e l’altra (che qui non è il caso di evocare), fino ai nostri giorni, passando – è bene ricordarlo facendo solo due nomi famosi – per Michelangelo e Carlo Levi.

Relazione infinita in cui testo poetico e testo pittorico si illuminano e si spiegano reciprocamente tanto da poter agevolmente invertire i termini dell’originario detto oraziano in ut poesis pictura dal momento che le conoscenze attuali della poesia e della pittura, permettono di decifrare meglio, con reciproci e fruttuosi scambi, tutta la complessità delle loro strutture profonde e dei rispettivi codici. E sarà il caso, allora, di vederli più da vicino questi dialoghi tra la pittura e la poesia di Corbo assumendo qualche breve reperto in funzione della sua esemplarità:

 Aldilà d’ogni limite

Come fionda impazzita

violerò ogni silenzio

di stelle o di luna

di sole

o di ogni astro dell’universo

(come in Astro I e II, Alba cosmica I e II)

 

Echi di stelle

Germi di luce filtrano

proiettando linee taglienti parallele

fra gli sterminati ammassi stellari

(come in Riflessi di luna I, II e III, Aloni, Orizzonte stellato)

 

Foglie

E mentre al cielo alla terra ora

si toglie le foglie

di colori verdi danno in dono

il velo, gialli d’ocra e d’oro,

scoprendo azzurri e cerchi larghi

e turchesi, di rossi vermigli.

(come in Betulle, Visione)

 

E, per finire, non c’è chi non riconosca in tutte queste correlazioni il presupposto di un altro dictum oraziano, quel delectare in base al quale pittura e poesia coincidono definitivamente nel loro comune, intrinseco e atemporale progetto di cui Antonio Corbo è ammirevole esecutore: l’identità ermeneutica del gioco originario.

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