Saggi critici

Pittore e poeta, Antonio Corbo fonde parola e gesto in un linguaggio composito che, attraverso le simmetrie di paesaggi concretamente fantastici, diventa metafora universale dove le simmetrie imperfette portano a quella che Merolla chiama “ricomposizione del doppio”. È soprattutto in questa chiave psicanalitica che vanno lette le opere dell’artista molisano.

Nel processo di trasformazione semantica, la componente cromatica svolge un ruolo fondamentale: la reinvenzione della luce richiama l’esperienza dei primi impressionisti mentre alcune ardite impostazioni prospettiche ricordano le visioni allucinate di Van Gogh e la brillantezza dei suoi campi provenzali; ma qui la tavolozza è ancora più accesa, stravolta al servizio di un urgenza interiore che, staccandosi dalla realtà oggettiva, catapulta l’osservatore in uno dei “Sogni” del regista Akira Kurusawa o in una delle immagini sature ed enigmatiche di Annelies Štrba. Anzi, c’è di più nell’agglomerarsi del colore/materia sulla superficie, perché la densità delle gocce, che si concentrano in un nucleo e subito si disperdono in sbavature, amplia il concetto stesso di rappresentazione figurativa sfiorando il gusto delle vetrate gotiche e dandogli lo spessore psichedelico della tableau photography di Sandy Skoglund.

In un cammino di decostruzione allegorica che da Emil Nolde approda all’Astrattismo, gli elementi svincolati dal loro referente quotidiano, balzano immediatamente all’occhio, scandagliando lo spettro dell’iride e le profondità della coscienza individuale. Come avveniva per gli alberi di Piet Mondrian o nelle frammentazioni di Paul Klee, non si tratta semplicemente di rintracciare il valore descrittivo immediato ma di riconoscere l’ossatura essenziale dello spazio suddiviso dalle linee di fuga, dalle parallele e dai cerchi che sembrano fluttuare sospesi nel cielo. I dischi di fuoco tornano a mo’ di citazione, creando un sottile filo conduttore che dipana il discorso artistico in senso puramente narrativo e istantaneo. È una rivisitazione dell’idea di “suono dei corpi celesti” in cui la “musica” non è un fenomeno auditivo ma un’armonia che coinvolge la vista e il tatto in elaborazioni cognitive complesse.

Elena Colombo

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